Superlega
Solo un fallito goffo tentativo di “colpo di Stato”? A mente fredda e a distanza di qualche tempo, come si fa a pensare che imprenditori di successo e dirigenti calcistici esperti come il presidente juventino Andrea Agnelli e quello del Real Madrid dal 1997, Florentino Pèrez, abbiano potuto commettere tante ingenuità o presunti atti di pura arroganza, come asserisce qualcuno? Sinceramente siamo tutt’altro che convinti che la partita sia finita in quelle sole 48 ore, dalla tarda serata di domenica 18 al 20 aprile scorsi.
Il progetto di una Superlega come quella fallita, è in ballo da oltre due anni e ha parentele strette con l’attuale e nuova formula della Champions League che salvaguardia, comunque, i diritti sportivi acquisiti. Manifestazione che, come annunciato dall’Eca (associazione dei club europei), dal 2024 avrà ben 36 squadre contro le attuali 32. La ribattezzata competizione per ricchi, la riterrei più che altro un torneo creato ad hoc per tentare di salvare economicamente i bilanci in grande sofferenza delle
iniziali dodici società fondatrici a cui si sarebbero aggiunti altri sei club invitati a vario titolo. Infatti, tutte e ribadisco tutte queste dodici compagini (Arsenal, Tottenham, Chelsea, Manchester City e United e Liverpool per l’Inghilterra; Atletico Madrid, Barcellona e Real Madrid per la Spagna; Inter, Juventus e Milan per l’Italia), hanno urgenza di immettere forti liquidità nelle loro casse esauste, a causa della loro disinvoltura nell’aver dispensato negli anni, a destra e manca, ingaggi fuori controllo e ingiustificati. Non parliamo solo di quelli, comunque spropositati, elargiti a quella decina di veri campioni come, per fare qualche esempio, Ronaldo, Messi e Neymar, ma soprattutto, quelli concessi a tutti gli altri calciatori, più o meno di seconda fascia, che popolano i vari terreni di gioco mondiali, senza lasciare grande tracce del loro passaggio.
Da diversi anni a questa parte il mondo del calcio, l’abbiamo denunciato da molto tempo, è sempre più uno spettacolo e sempre meno uno sport. Come tale, è mosso da dinamiche, economiche e non solo, molto diverse da quelle tradizionali dello sport. Basti pensare al famoso “spezzatino” (alias, smembramento temporale delle varie gare di giornata) del calendario delle partite, soprattutto delle serie maggiori.
Quello che, prima dell’arrivo in massa delle potenti televisioni commerciali, sembrava una regola inviolabile, un dogma, ovvero la contemporaneità delle gare, ora è uno sbiadito ricordo che sembra non turbare nessuno. Nello stesso tempo, gli stadi si sono sempre più svuotati per dare spazio, come se fosse una prova anticipata del deserto che abbiamo ora per la pandemia, ai vari palinsesti delle varie emittenti che si erano accaparrati, a suon di milioni di euro, i diritti. Palinsesti che vengono strutturati senza tenere conto delle esigenze lavorative e non dei tifosi che, un po’ alla volta, si sono rassegnati al comfort del proprio divano e agli orari sempre più inusuali delle sfide dei propri beniamini.
Tutto questo per dire che, il processo di snaturamento del calcio con tanto di abdicazione ai facili incassi in cambio di un sempre maggiore numero di sfide agonistiche, è già ampiamente in stato avanzato da anni e la Superlega ne è una diretta, anche se mal costruita, naturale conseguenza. Progetto, lo ribadiamo, solo per il momento, accantonato. L’uscita veloce della Superlega c’è stata perché non aveva fondamenta solide, visto che l’unico interlocutore che questi grandi manager avevano “ingaggiato”, era quello con la multinazionale americana di servizi finanziari di New York, JPMorgan Chase. Società che avrebbe messo sul piatto della bilancia, a dir il vero, dai tre ai quattro miliardi di dollari. Un vero fiume di denaro, come mai se ne sarebbe visto. Ma come dicono i nostri nonni, le case non si costruiscono dal tetto e debbono avere delle solide fondamenta per reggere. Fondamenta che, questo progetto di Superlega, non aveva. Mi riferisco, in particolare, ai mancati accordi con le organizzazioni internazionali che governano il calcio: la Fifa (federazione mondiale) e la Uefa (federazione europea). Perché diciamo questo? Perché, semplicemente queste due organizzazioni sportive hanno, tra le altre cose, tutta la logistica del mondo del pallone.
Pensate, per un attimo, se questo progetto per solo ricchi non fosse stato fermato e i dodici fondatori avessero resistito alle pressioni dei loro Governi e delle rispettive federazioni, chi avrebbe diretto, per fare un banale esempio, le varie partite? Per chi non lo sapesse, tutti gli arbitri e le loro organizzazioni sportive, dipendono dalle rispettive federazioni nazionali e internazionali. Nel nostro caso, Federcalcio, Uefa e Fifa.
Sarebbe come andare in un ristorante, un bellissimo ristorante, e non trovare chi ti serve e chi ti cucina. Le pressioni sono state tante e tutte unite sotto la bandiera del salvataggio degli ideali più puri dello sport, della meritocrazia e del valore educativo dello stesso, ma siamo convinti che la reazione di massa, giusta, lo ripetiamo, abbia risvolti meno nobili.
La nuova Champions Leauge dal 2024 a 36 club e non più a 32, dimostra l’esigenza impellente e continua del pallone, che deve fare sempre cassa per non implodere sotto la pressione delle gestioni amministrative cicala dei club. Per fare questo, l’unica soluzione che viene sempre trovata, non è quella di calmierare le spese, ma quella di aumentare il numero delle partite per aumentare le entrate. Soluzione, che non tiene conto minimamente del fattore umano degli attori protagonisti che sono fatti di carne e ossa e quindi non sfruttabili oltre a un certo limite. Non a caso sono aumentati sensibilmente gli infortuni fisici anche in età molto giovanili e il numero dei giocatori che le società devono avere a disposizione. Altro elemento che contribuisce ad aumentare i costi di gestione dei club. Inoltre, come si fa, a non pensare che, a fronte di un calendario sempre più affollato e frenetico, la qualità dello spettacolo espresso non diminuisca? La qualità è, da che mondo è mondo, sempre il frutto di un’oculata selezione e non la sintesi di varie operazioni di massa.
La Superlega è la diretta conseguenza del fallimento della corretta applicazione del “fair play finanziario” da parte di Uefa, Fifa e di alcune federazioni, che avrebbero dovuto vigilare, con pugno di ferro, sui comportamenti economici di alcune società. L’allora presidente della Uefa, Michel Platini e l’allora suo segretario generale, ora presidente Fifa, Gianni Infantino, avevano presentato in Italia, al centro tecnico federale di Coverciano, alle porte di Firenze, questo progetto, come l’unico che avrebbe evitato il potenziale fallimento dei club e garantito il futuro al calcio. Era il 2009 quando iniziò a valere questo progetto Uefa e Platini e Infantino avevano ragione. Purtroppo solo sulla carta e se fosse stato applicato con fermezza.
Purtroppo i problemi finanziari, anche se fa meno notizia, non sono solo del calcio, tanto è vero che la stessa pallacanestro europea e non quella a stelle e strisce del NBA, da oltre vent’anni, ha la sua Superlega. Si chiama Euro Lega e va avanti con regole molto simili a quelle del progetto dei dodici club ex dissidenti, con buona pace delle rispettive federazioni nazionali e continentali. Quello che tutti gli sport, in questo caso il calcio, vogliono ottenere, è l’impossibile, ovvero, come recita un vecchio adagio popolare: voler la botte piena e la moglie ubriaca.
La stessa bravissima Atalanta dai bilanci solidi, sarà presto a un bivio: il miracolo società/allenatore, non potrà durare in eterno. Le pressioni economiche sono inevitabilmente destinate ad aumentare e non solo per gli ingaggi dei giocatori che, anno, dopo anno, si valorizzano. Basti pensare che cosa succederebbe se la virtuosa società bergamasca, non si qualificasse più, per anni, alla Champions League? Che fine farebbero i progetti di crescita o semplicemente di sostenibilità economica, senza i numerosi euro europei? Quello che viene giustamente invocato come un goffo fallito “colpo di stato”, in realtà è il primo forte campanello d’allarme di un malessere molto più radicato nel mondo del calcio che non ha saputo o non ha voluto affrontare, più per motivi politici, le necessarie riforme strutturali, campionati compresi. Si pensi solo, da quanto tempo è emersa la necessità di ridurre il numero dei professionisti del pallone? Come, per fare un esempio, procedere alla riduzione del numero delle squadre della Serie A, dalle attuali 20 ad almeno a 18. Riforme che sono sempre più impellenti, altrimenti, veramente, prima o poi il pallone si sgonfierà. Solo limitando e selezionando gli attori protagonisti del calcio, si potrà tentare di mantenere adeguato lo spettacolo che si vuole proporre, tenendo presente che, comunque, si parla di uomini con tutti i loro limiti psico-fisici.
Qui merita una piccola riflessione sulle figure dei procuratori dei calciatori, sempre pronti a ridiscutere, legittimamente, la posizione economica dei propri assistiti. Un vero e costante cortocircuito che le società non sanno gestire, ma che è una delle prime cause delle sofferenze gestionali dei club.
Al di là di tutte le considerazioni finora espresse, la storia insegna che nulla è eterno. Anche nell’alta finanza di Wall Street, nessuno pensava potesse avverarsi il fallimento di Lehman Brother del 2008, una delle più grandi società multinazionale di investimenti finanziari, fondata nel 1850. Si diceva era troppo grande per poter fallire…
Pier Paolo Cioni