Festival delle delizie di Bra
Io vado a BRA’S, centro storico di BRA (CN), dal 19 al 22 settembre. Diciamolo subito, c’è un abbaglio da non prendere leggendo “Festival della Salsiccia” ed è quello di buttarla frettolosamente in prosaicità. Sarebbe un errore madornale. Mi spiego. Quando cucinare non è far e dar da mangiare (cosa, per carità, assai pregevole se c’è qualcuno che ha fame, fame-fame intendo, non semplice appetito seppur vispo), ma diventa premessa e promessa di scoperta, intima percezione ed emozione e diventa altresì tramite per avvicinare a un luogo, farlo conoscere e capire, istillando magari l’idea, o la speranza, di riuscire a stabilire una sintonia, allora è chiaro che cucinare ha tutto un altro significato, tanto è vero che si mobilitano persino spiriti relegati allo stato latente nel nostro “io”, relegati sì, ma sempre in trepida attesa di tornare in servizio.
Qualcuno potrebbe chiedersi se ci sia proprio bisogno di un tal percorso. Il fatto è che quel percorso rappresenta un’articolazione dell’unica residua via intelligente di fare turismo, via peraltro obbligata, sin d’ora e ancor più in prospettiva, nella quale la qualità prevale sulla quantità e il consumo delle risorse è ammissibile non oltre la loro capacità di rigenerarsi. Il turismo prossimo venturo dunque dovrà essere quello culturale, nel senso più lato del termine, s’intende: la partita decisiva si gioca precisamente qui, nel riconoscere il primato della cultura – che pure conta molti, e non disinteressati, detrattori e dileggiatori – e il resto, economia compresa, quantunque importante, viene dopo. Qualcuno dissente? Beh vuol dire che dovrà farsi piacere le (tante, troppe) porcherie che stanno intorno, le nefandezze quali l’overtourism o le idiozie tipo il turismo (fasullo) di simulazione o i tour da sbornia e consimili amenità. Io penso, e non mi sento solo, che ci si possa divertire, si possa far festa, si possano godere tutte le bellezze del mondo sotto il riflettore acceso della cultura, non sotto quello spento e illusorio del suo contrario.
Ora devo lasciare questo discorso che porterebbe lontano e fuori tema, e torno di buon grado, al Festival della Salsiccia il quale, con i corollari, formaggio, pane e riso, attende i visitatori. Mi scuserete se la prendo un po’ alla larga, ma la zona, o meglio la sub-regione, scenario della Manifestazione, ha una valenza di assoluto rilievo. E poco importa se il Festival in sé ne utilizza soltanto una parte.
Langhe-Roero e Monferrato – terre alessandrine, astigiane e cuneesi – sono ascritti al Patrimonio Mondiale dell’Umanità, sotto il cielo UNESCO, poiché “i paesaggi culturali vitivinicoli del Piemonte di Langhe-Roero e Monferrato sono una eccezionale testimonianza vivente della tradizione storica della coltivazione della vite, dei processi di vinificazione, di un contesto sociale, rurale e di un tessuto economico basati sulla cultura del vino. La loro storia è testimoniata dalla presenza di una grande varietà di manufatti e architetture legate alla coltivazione della vite e alla commercializzazione del vino. I vigneti di Langhe-Roero e Monferrato costituiscono inoltre un esempio eccezionale di interazione dell’uomo con il suo ambiente naturale: grazie ad una lunga e costante evoluzione delle tecniche e della conoscenza sulla viticoltura si è realizzato il miglior adattamento possibile dei vitigni alle caratteristiche del suolo e del clima, tanto da diventare un punto di riferimento internazionale. I paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato incarnano l’archetipo di paesaggio vitivinicolo europeo per la loro grande qualità estetica”.
Parole didascaliche certo, da motivazione, ma parole oltre le quali mi sento di andare e non soltanto perché questi sono i territori di Cavour, di Cesare Pavese, di Beppe Fenoglio, di Vittorio Alfieri, di Giovanni Arpino, di Paolo Conte, tanto per citare alla rinfusa alcuni nomi, ma anche perché sono territori dove l’impronta dell’uomo è così splendidamente marcata da far pensare che il naturale e il plasmato si siano fusi in una sorta di sublimazione. E se, nel succedersi delle stagioni, l’anima pulsante di questi luoghi sempre si avverte, specialmente in autunno, tra i colori cangianti e le brume, la terra bagnata, le atmosfere sfumate e magiche, i sapori e i profumi e i silenzi, si sprigiona una sinfonia che tocca le corde di tutti i nostri sensi. Paesaggi, storia, arte, borghi, castelli e vigne e campi trattati da mani sapienti di genti operose a comporre un ensemble senza uguali: ecco cos’è questo ambito di Piemonte. Cercate, curiosate in internet, vi sorprenderete.
E Bra? Dove sta Bra? Sta al limitare del Roero e delle Langhe, è un centro di circa trentamila abitanti, tra Cuneo e Torino ad una quindicina di chilometri da Alba. Ancora un’occhiata in internet e vedrete che insieme con la frazione di Pollenzo, sede tra l’altro dell’Università di Scienze Gastronomiche, ha la sua da dire. Altroché. E adesso Festival.
Il Festival, appunto il “Festival della Salsiccia di Bra”, si svolge qui. Un sito ben confezionato www.brasfestival.it racconta e descrive compiutamente ciò che il Festival sarà e proporrà. Scopiazzarlo sarebbe fargli torto. Quel che si può pronosticare è che sarà un Festival di gran classe, forte com’è della presenza nel suo universo di prestigiosissimi chef quali Enrico Bartolini, Matteo Baronetto, Ivano Ricchebono, Massimo Camia, Pasquale Laera, Filippo Oggioni e Davide Boglioli. Saranno quattro giornate tra cibi prelibati, eccelsi vini e deliziosa ambientazione che resteranno impresse nei cuori. E tanta joie de vivre, stand enogastronomici, prodotti tipici, kermesse, musica, momenti di socializzazione, due regioni ospiti, Valle d’Aosta e Liguria.
Mi avvio alla chiusa. La dedico a un uomo e a un prodotto che ho incontrati, o forse meglio, incrociati, al Mudec di Milano dove è avvenuta la presentazione milanese del Festival. L’uomo è Davide Boglioli, il prodotto, manco a dirlo, la salsiccia. In comune hanno la braidesità, cioè sono nativi di Bra; il primo plasma con genialità la seconda ed essa, paga del nuovo stato, si offre al piacere di chi la vorrà e saprà voluttuosamente apprezzare.
Davide Boglioli è giovane, non giovanissimo, ha ancora la faccia del bravo ragazzo, serio, determinato, pochi fronzoli e molta sostanza. Non è un gran parlatore, a domanda risponde, ma usa le parole quanto basta, come fa con certi ingredienti. Misurato. Il suo “itinerario” si snoda muovendo dal paese natio dove, nel tempo libero, aiutava il padre nel lavoro in campagna e nel governo degli animali. Poi gli studi al Professionale Velso Mucci dove sboccia e s’irrobustisce la sua vocazione per la cucina. Poco più che ventenne è ad Alba e vi resterà per sei anni nel ristorante dello chef Enrico Crippa, “maestro di cucina e di vita”. Confessa di essere entrato ragazzo e uscito uomo. Dopo un passaggio a Londra al Trivet, due stelle Michelin, rientra in Italia e conosce il grandissimo chef Enrico Bartolini che ne apprezza il talento, gli dà fiducia e infine gli affida il suo ristorante presso il Mudec di Milano, con qualifica di executive chef.
Ormai Boglioli è ai vertici dell’arte in cucina, ben consapevole però che la ricerca è essenziale e che c’è sempre qualcosa da imparare. Nonostante i successi, il legame con le origini è rimasto ben saldo, con Bra, la sua famiglia e gli amici. Sappiamo che tornare per il Festival e dietro i fornelli del Festival, all’ombra della Casa dei braidesi denominata Zizzola e tra i suoi, gli procurerà un dolce subbuglio interiore, ma sarà un subbuglio benefico che lo consolerà una volta ripreso il ritmo quotidiano lontano da quel briciolo di cuneese così grande nel suo animo.
Mi vien da dire adesso “dalla stella alla stalla”. Non c’è niente di male, ogni cosa messa al posto giusto ha la sua dignità. Messa sul banco delle otto macellerie di Bra, la salsiccia preparata nel territorio del Comune, con carni fresche e pancetta di suino è sul suo trono, pronta ad essere consumata fresca, cotta alla griglia e soprattutto cruda. Deliziosa e identitaria, un’eccellenza del territorio. Provare per credere.
G.G.