Scenari possibili dopo “Her Majesty The Queen”
“La famiglia reale rende noi britannici speciali nel mondo”, ha detto una donna di 32 anni, una qualunque Krish Kastis, in una delle migliaia di mini-interviste raccolte dai giornali e dalle tv davanti a Buckingham Palace, dove il popolo dei sudditi si è adunato nei giorni del lutto per Elisabetta. “Speciali nel mondo”, proprio così; nessun analista politico avrebbe potuto sintetizzare meglio. “È la nostra identità, la nostra guida” ha proseguito Krish.
“La regina è stata veramente una roccia per molti di noi”, e la preoccupazione sottintesa era: da adesso in poi che cosa succederà? Perché è facile proclamare “la regina è morta, viva il re”, come si fa per tradizione da quelle parti; la realtà è che senza Elisabetta la monarchia britannica potrebbe non essere più la stessa di prima, e c’è persino chi sussurra: questo è il momento buono per abolirla. Che succeda davvero è improbabilissimo, ma da adesso in poi il Regno Unito e il Commonwealth britannico, cioè la vasta comunità delle ex colonie, potrebbero perdere molti pezzi.
La prova migliore della popolarità di Elisabetta II è data dal prestigio di cui godeva nella complicata e problematica Scozia. Anche gli scozzesi che sognano la secessione hanno sempre rispettato la regina e il suo ruolo. Il popolo di Braveheart si è già espresso due volte in un referendum sul distacco dal Regno Unito, e tutte e due le volte ha detto no, ma di misura, e secondo gli analisti è stata decisiva, per spostare i pochi punti percentuali determinanti, l’educata ma ferma posizione della regina, che non ha violato formalmente il suo ruolo politico neutrale, ma ha fatto capire chiaramente che cosa desiderava.
In settant’anni di regno Elisabetta ha fatto di tutto per essere una vera regina scozzese, passava in Scozia (nel castello di Balmoral o altrove) tutto il tempo libero dagli impegni a Londra o dai viaggi all’estero, presenziava alle manifestazioni locali, istituzionali o folkloristiche che fossero, manifestava continuo affetto per i sudditi, e veniva ricambiata. Re Carlo III non fa lo stesso effetto: da principe, in Scozia indossava il kilt, ma gli scozzesi non lo hanno mai considerato uno dei loro. Gli analisti politici dicono che quando si farà il terzo referendum sulla secessione (e prima o poi si farà) il Regno Unito potrebbe essere a rischio.
Salvo errore, sembra che in questi giorni nessun commentatore abbia ricordato un altro enorme merito di Elisabetta: quando scoppiò la crisi del 2008 e gli Stati dell’Occidente salvarono le istituzioni finanziarie private con migliaia di miliardi di dollari, di euro e di sterline (proprio migliaia di miliardi, non è un refuso per milioni) a carico dei bilanci pubblici, la regina colse un’occasione pubblica per chiedere a una platea di economisti accademici: “Sapete spiegarmi perché è arrivata questa crisi e perché non avete saputo prevederla?”.
Nei trent’anni precedenti la comunità degli economisti non aveva fatto che esaltare la deregulation finanziaria, partita proprio da Londra per diffondersi ovunque, e pontificare sulla capacità del libero mercato di auto-regolarsi in ogni frangente, senza interventi statali; quella stessa comunità di economisti rimase muta davanti al colossale intervento pubblico mondiale per rimediare al disastro, e fece scena muta anche di fronte alle domande di Elisabetta.
È naturale che la stragrande maggioranza delle persone fondi il suo giudizio sulla regina basandosi su altre considerazioni, non la politica o l’economia, ma la misura e l’eleganza con cui si è comportata in 96 anni, guidando la famiglia in circostanze anche difficili e a volte tragiche. Nel giudizio pubblico l’unico suo vero scivolone fu compiuto immediatamente dopo la morte di Lady Diana; Elisabetta non aveva una buona opinione del suo comportamento, la considerava (come minimo) corresponsabile della grave crisi di immagine che aveva subìto la monarchia britannica a seguito del clamoroso divorzio da Carlo, e questo ci poteva anche stare; ma Elisabetta apparve all’opinione pubblica troppo dura e insensibile quando si mostrò restia a unirsi al pubblico lutto per la principessa; comunque fu un fatto di breve durata, la regina rimediò quasi subito al suo errore.
Anche Elisabetta, come Diana, si trovò a subire le infedeltà del marito, ma non ne fece una questione pubblica; certo lei e Filippo erano una coppia d’altri tempi, e nella loro generazione c’era molta più indulgenza per le scappatelle del maschio cacciatore, ma la discrezione di entrambi, per tanti decenni, fu encomiabile. A puro livello di gossip si sussurra che anche Elisabetta abbia avuto le sue avventure, senza sbandierarle. Rende speciale Elisabetta anche la lunghezza del suo regno.
Quando salì al trono, nel 1952, a Londra il primo ministro era Churchill, a Mosca era ancora al potere Stalin, in America John Kennedy era un giovane donnaiolo sconosciuto; da allora il mondo è cambiato più e più volte, e lei è sempre stata lì. Anche chi non si interessa di storia e di politica non può non aver notato la costante presenza della regina; se oggi avete 70 anni, o anche 75, non ricordate di aver mai visto nessun altro che lei sul trono britannico. La sua presenza fisica era un legame diretto con la Storia, scritta con la S maiuscola.
Certo, nemmeno lei faceva magie. Nel ‘52 divenne automaticamente Capo di Stato non solo del Regno Unito, ma anche di 31 Paesi del Commonwealth. Nei 70 anni del regno di Elisabetta, 17 di quei Paesi hanno deciso di diventare repubbliche (il caso più recente è quello di Barbados l’anno scorso). Anche i 14 superstiti sono a rischio, anzi l’arcipelago di Antigua e Barbuda ha appena fatto sapere che saluta la compagnia, e così si scende a 13. A parte questi staterelli, difficili da trovare sul mappamondo, e che fanno solo numero, il legame istituzionale col Regno Unito esiste ancora per Paesi importanti come il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda; se pure loro se ne andassero, magari spinti dall’esempio della Scozia, sarebbe un fatto traumatico per gli inglesi.
Facciamo un’ipotesi estrema: e se un domani persino l’Inghilterra voltasse le spalle alla monarchia? Se dicesse grazie, basta, non ci piace più? Che cosa sarebbe di Carlo e dei suoi successori? Diventerebbero privati cittadini? No, perché erediterebbero un titolo che pochi conoscono, un titolo che spettava a Elisabetta e che i suoi discendenti non perderebbero. Le Isole del Canale, cioè Jersey e Guernsey, non fanno parte del Regno Unito; il loro legame con l’Inghilterra è rappresentato soprattutto dal fatto che hanno lo stesso sovrano.
Jersey e Guernsey sono tutto ciò che resta dell’antico Ducato di Normandia, quello da cui partì Guglielmo il Conquistatore per impadronirsi nell’Inghilterra nel 1066. La regina Elisabetta II era anche Duca di Normandia (proprio Duca, non Duchessa, titolo non previsto) e ha trasmesso la carica a Carlo. Se un domani gli inglesi abolissero la monarchia, con tutta probabilità le Isole del Canale non si farebbero assorbire dall’Inghilterra: sono ricchissime, un paradiso fiscale, e preferirebbero sopravvivere da staterello indipendente, come il principato di Monaco o quello del Liechtenstein, con Carlo o i suoi eredi come Duchi.
I discendenti di Elisabetta resterebbero inoltre Lord of Man, un’altra isola che sulla carta geografica viene colorata come se fosse parte del Regno Unito ma invece è una realtà a parte, dipendenza diretta della Corona. Comunque è improbabilissimo che si arrivi a una tale dissoluzione della monarchia, anche dopo la morte di Elisabetta: “La famiglia reale rende noi britannici speciali nel mondo”, e a questo non si rinuncia facilmente, parola di Krish Kastis.
Luigi Grassia