Un viaggio tra i tesori di Petra
Nel mondo trumatizzato dal Covid, e adesso anche dalla guerra, sono ancora poche le mete al di fuori dell’Europa che riescano ad attrarre flussi importanti di turisti; fra queste si distingue Petra, in Giordania. L’abbiamo visitata nei giorni scorsi, quando l’inverno stava cedendo il passo alla primavera, e abbiamo incontrato un sorprendente freddo, che contrastava con il sole splendente e l’azzurro intenso del cielo senza nubi: un vento gelido d’altipiano trapanava gli incauti (quorum ego) che avevano immaginato sufficienti felpe e giacche leggere. Questo, per lo meno, nelle prime ore del mattino, perché poi all’avvicinarsi del mezzogiorno, e grazie anche a lunghe camminate, l’atmosfera si è scaldata e sono diventate più che sufficienti le T-shirt.
Sottolineiamo il dato delle camminate perché a Petra si scarpina parecchio: lo scrigno dei tesori non è a disposizione immediata di chi arriva, lo si deve conquistare. Si fa una specie di pellegrinaggio, una preparazione spirituale alla meraviglia. In loco ci hanno detto che dal recinto del museo al primo e più famoso dei monumenti, il “Tesoro del Faraone”, ci sono 3 chilometri e mezzo; però non è una distanza che pesa, perché si tratta di un percorso bellissimo, una serpentina fra due pareti altissime (almeno cento metri) di roccia rossa, dalle forme e dalle sfumature di colore sempre cangianti; in certi punti il canyon si restringe, in altri si espande, e il gioco della luce e delle ombre muta costantemente ed esige nuove foto a ogni curva.
C’è il vantaggio che il tragitto è tutto in piano, in certi punti con una lievissima pendenza, a malapena percepibile, ma insomma non temete di dover affrontare un trekking. Per chi proprio non ce la fa sono disponibili delle minicar elettriche, utili per persone anziane o con difficoltà di movimento; e ci sono pure numerosi cavalli, muli e dromedari: montarli costa dai tre ai cinque euro (si contratta un po’, secondo tradizione locale).
Grande impatto quando alla fine del canyon si intravede il Tesoro del Faraone, e poi questa colossale tomba (che NON è di un Faraone egizio, a dispetto del nome, ma di un re nabateo di cui si è persa memoria) si espone in tutta la sua magnificenza in una valletta che le è interamente dedicata.
Nell’intero sito di Petra le tombe sono centinaia e qualcuna, di aspetto più arcaico, si incontra già prima di entrare nel canyon. Altre fiancheggiano il percorso successivo. Poi ci sono edifici che dovevano svolgere la funzione di templi, anche se gli antichi Nabatei, cioè il sofisticato popolo che ha realizzato queste imponenti costruzioni, non ci hanno quasi lasciato documenti scritti, per cui interpretare il significato delle pietre non è facile. A un certo punto compare anche un imponente anfiteatro. E in fondo a un lungo tragitto è stato costruito, sempre nell’antichità ma in epoca successiva a quella delle tombe, un monastero cristiano.
Nel complesso il viaggio a Petra è destinato a restare nella memoria. La una località è accessibile, appena fuori dall’Europa e con tempi di aereo di poco superiori. E il popolo giordano ci è sembrato particolarmente accogliente; abbiamo persino scoperto che ci sono famiglie in Giordania i cui nomi arabi sono la deformazione di antichi appellativi italiani, risalenti all’epoca delle Crociate e delle Repubbliche marinare.
Luigi Grassia
Foto di Luigi Grassia