La cucina di David Cattoi
Figlio d’arte, dove per arte si intende la capacità di dare forma a opere gastronomiche che conquistano il palato, ha cominciato da piccolissimo a “giocare in cucina”, seguendo le orme di un padre che fin da subito lo aveva messo in guardia sullo spirito di sacrificio e sulla dedizione che un lavoro come quello dello chef richiede. Ora che è diventato a sua volta padre di Tommaso e sul comodino non ha una voluminosa bibbia dell’enogastronomia ma un libro sull’educazione dei bambini e sul comportamento dei neo-genitori, il concetto deve essergli ancora più chiaro.
Eppure, il giovane Executive Chef del Re della Busa e del Bistrot Tremani al Lido Palace di Riva del Garda (TN), arrivato in questo gioiello trentino sul lago alla volta del compianto Giuseppe Sestito, non ha mai avuto dubbi rispetto alle proprie scelte. «Quando ho saputo che, dopo 20 anni di chiusura, era in procinto di riaprire un cinque stelle lusso a Riva del Garda, in questo luogo che amo da sempre, ho pensato che fosse il mio posto. Mi piace qui. Ed è qui che voglio stare. È qui che mi vedo in futuro. Mi dà l’occasione di esprimermi e di lavorare come voglio», racconta, ricordando inoltre di quanto sia importante il debito nei confronti del suo predecessore, prematuramente scomparso nel 2019.
Hotel Lido Palace
«Da una fase umile come quella della pulizia al nobile momento finale dell’impiattamento, quando in un certo senso lo Chef va in scena, Giuseppe riusciva a trasmetterti un vero amore per il pesce. Nessuno mi ha mai dato le stesse cose. Era un libro aperto. Ti donava tutto ciò che sapeva. Lavorare con lui è stata una fortuna».Questo è ancora più vero se si considera che al Lido Palace, il pesce, in particolare quello di mare,è il re della tavola.
Hotel Lido Palace
Ovviamente, il punto fermo rimane una ricerca della qualità che, perfino in lockdown, ha portato Cattoi e il proprio staff a sfruttare il tempo a disposizione per esplorare le aziende locali e stringere collaborazioni nel segno dell’eccellenza della materia prima. La carta è in effetti un autentico trionfo del territorio, con piatti che presentano ingredienti prodotti da fornitori accomunati da una filosofia sintetizzabile in una parola: Trentino.
Dalle carni alla frutta, tutto rispecchia l’idea di trasmettere il sapore e il gusto di un fare tipico e tracciabile. «La mia non è una cucina troppo fuori dalle righe. Sono per i piatti concreti, per la freschezza, per la qualità, per la stagionalità e la territorialità dei prodotti», spiega, suggerendo implicitamente il motivo per cui tra le sue ambizioni ci sia quella di cucinare un giorno un risotto con gli scampi, il limone nero e i fiori di zucchine per Luciano Ligabue, artista ammantato da un’aura di autenticità.
«Per concretezza, intendo che anche quando devo cucinare un pesce come il rombo, che attualmente è interessato da una sorta di boom, lo sfiletto, lo metto in padella e lo scotto dalla parte della pelle, aggiungo uno spicchio d’aglio, una noce di burro e delle erbe aromatiche. Acquista un sapore straordinario e un’incredibile morbidezza. Se vado a mangiare in un locale, che sia stellato o meno, devo essere prima di tutto contento in base a quello che ho pagato. Credo però che il mio cliente debba alzarsi da tavola pensando già che tornerà, perché da me ha mangiato bene. È più raro di quel che si pensi e non dipende certo dalla valutazione che di un ristorante danno le guide più blasonate».
Quando gli si chiede come veda la cucina del futuro, David Cattoi risponde che, al netto delle tendenze del momento, all’orizzonte ci sarà sempre un ritorno alle origini, ai piatti dell’infanzia, quelli che facevano le nonne. Il resto è moda. Una filosofia condivisa con una brigata molto giovane, composta da ragazzi cresciuti al suo fianco, che si possono anche permettere di prenderlo in giro per una vera ossessione nei confronti della maggiorana. «La inserisco ovunque», scherza. «Trovo che faccia la differenza. Che siano di carne, di pesce, vegetariani o a base di tartufo bianco (quando è la stagione), i miei piatti devono sempre essere equilibrati. La parte corposa deve essere spinta da una parte cremosa e sapida, bilanciate con un elemento di freschezza, in modo da creare contrasti anche nel più piccolo dei bocconi. È il segreto per non stancare mai il palato».
Lo Chef è consapevole che un’altra cosa da non stancare sono gli occhi. Ecco perché cura minuziosamente la presentazione, alla quale contribuiscono ovviamente il contesto naturale e il vissuto. Ne sa qualcosa chi ha provato il “Pezzo di Alveare”, dessert ispirato alla passione paterna per l’apicoltura, con mousse al miele, fiori di sambuco e gelatina di agrumi. Il modo più dolce per concludere il ritratto di un giovane artista della cucina.